11/21/2013

Scanlation e copyright - In bilico tra illegalità e fan culture

Ne siamo assediati: ci circonda, è in ogni angolo, e se da una parte ci sentiamo tutelati, dall’altra la nostra creatività ne viene fortemente inibita. Parlo del dritto d’autore o copyright, cioè del diritto di proprietà che ciascun autore detiene nei confronti del proprio lavoro creativo o/e intellettuale. Benché tutti sappiano della sua esistenza, inconsciamente o meno lo violano ogni giorno, magari aggiornando la tracklist dell’I-phone, o semplicemente citando un brano sulla propria pagina web, o ancora scaricando l’ultimo video di P!nk. Questo perché, in fondo, pochi sanno esattamente cosa tuteli davvero il copyright, quale sia la funzione che svolge e che limitazioni ci imponga. È per questo che ho deciso di pubblicare questo breve saggio, un estratto dal progetto presentato per il mio ultimo esame: credo fermamente nella necessità di maggiore consapevolezza. Nessuno -o quasi- ci dice le cose per come sono, con semplicità e schiettezza: penso che questo debba cambiare, che dovremmo iniziare a intenderci a vicenda e ad arricchirci allo stesso modo. È per questo che è nato Internet, ed è a questo che dovremmo ritornare. Non vi pare?

Hope you’ll enjoy it.

SCANLATION E COPYRIGHT


Una breve introduzione: concetto di proprietà 
Il concetto di proprietà  è insito nella natura umana, e la legge -fin dagli albori- ha tentato di tutelarlo: in principio, la proprietà era intesa come un bene materiale, mobile o immobile (una casa, un appezzamento di terreno, un capo di bestiame...) appartenente ad un dato individuo. Tuttavia, con lo sviluppo tecnico e la Seconda Rivoluzione industriale qualcosa è cambiato: si è stabilito che il diritto di proprietà non deve ledere né lo sviluppo tecnologico, né la libertà collettiva. Un esempio di questa nuova politica sono Stati Uniti, che agli inizi del ‘900 erano dotati di una legislazione -in ambito proprietaristico- abbastanza vaga: la legge stabiliva che un individuo possedeva un appezzamento di terreno non solo nella sua estensione orizzontale (sulla superficie della terra) ma anche in quella verticale, fino al centro della terra e verso il cielo. Tutto questo però senza effettivamente stabilirne i limiti. Quando dunque in America arrivarono i primi aerei, questi ipoteticamente -sorvolando i cieli- infrangevano il diritto di proprietà dei privati: i coniugi Causby, a causa del fragore prodotto dagli aerei in volo, in poco tempo persero la maggior parte del loro pollame, e decisero di intentare una causa contro l’agenzia aerea. La sentenza del giudice fu molto chiara: laddove si bloccano interessi comuni, superiori, collettivi e volti al progresso, il diritto di proprietà viene messo da parte.


Un po’ di storia: la proprietà intellettuale 
Limitare la proprietà per garantire il diritto di espressione e il progresso: è esattamente questo il fulcro del nostro saggio, che si soffermerà su un diverso e più moderno tipo di proprietà, ossia la proprietà intellettuale. Essa viene definita come tutto ciò che è frutto dell’intelletto e della creatività del singolo, e la sua storia comincia nel fior fiore della cultura europea: l’Inghilterra del romance e delle novels. Il concetto di proprietà intellettuale nasce infatti nel 1710, nell’Inghilterra di Defoe, Richardson, Swift e Fielding, quella stessa isola felice della letteratura che aveva visto la repentina diffusione del romanzo presso la middle class e in particolare presso il pubblico femminile, implementando considerevolmente il mercato librario. I booksellers (letteralmente venditori di libri, diremmo noi oggi editori) iniziarono a stampare un gran quantitativo di opere del presente e del passato, romanzi, tragedie e commedie, delle quali detenevano il copyright (letteralmente, diritto di copia) il quale dava loro il diritto esclusivo di stampa di un testo. Tuttavia, questo impediva alle altre case editrici di crescere, così nel 1710 venne emanato lo  statute of Anne, editto che limitava il copyright alla durata di ventuno anni. Dopo il periodo stabilito dallo statuto, un’opera diventava di pubblico dominio (questa è la prima volta nella storia in cui viene impiegato il termine). Lungamente, però, i booksellers fecero valere il diritto consuetudinario sul diritto positivo, ossia fecero ricorso ai giudici per farsi prolungare il copyright. Nel 1774, infine, la Corte dei Lord stabilì che il copyright andava necessariamente limitato: deliberò una durata e ne intimò il rispetto; dopo il decorso di un determinato intervallo di tempo, i testi diventavano bene collettivo ed erano stampabili da qualsivoglia casa editrice.  
Tutto ciò è particolarmente importante perché tutta la legislazione sul copyright, per qualsiasi nazione, è ispirata a quella inglese del 1774.

L’avvento di Internet: come cambia la proprietà 
Prima dell’avvento di Internet il concetto di proprietà era di certo più chiaro:  era considerata una proprietà solo la cultura commerciale, cioè quella “in vendita”. Facciamo un esempio molto banale: prima di Internet un romanzo da me scritto e pubblicato presso una casa editrice era tutelato da copyright; una lettera privata o una pagina di diario non lo erano. Questo perché la legge tutelava solo la  cultura commerciale, quella venduta sul mercato in cambio di un compenso, e non la cultura non-commerciale, composta senza scopo di lucro. Oggi non è più così: tutto ciò che è in Internet, che possa essere un blog, un romanzo, uno sfogo personale o la foto con vostra madre, è tutto potenzialmente protetto da copyright, “tutti i diritti riservati”.
Un altro cambiamento epocale di Internet è la nascita della pirateria, ossia l’appropriazione illecita di materiale coperto da copyright attraverso l’Internet e il file sharing. Chiariamo bene: non che prima non si copiassero CD e cassette, fotocopiassero interi libri e registrassero i programmi dalla televisione. La differenza, è che con la nascita di Internet tutto questo si è sviluppato su larga scala, consentendoci di accedere facilmente a quello che cerchiamo, e gratis; ovviamente questo costituisce una grande minaccia per chi vende gli “originali”: così, d’improvviso, siamo diventati tutti criminali.

L’intervento della legge: la fine della cultura
In questa situazione, i detentori dei diritti d’autore si tutelano facendo ricorso alla legge, e la legislatura si fa sempre più rigida per tutelare la proprietà, con un doppio risultato. Se infatti da una parte appare giusto proteggersi dal furto che è la violazione del copyright, dall’altro lato l’eccessiva tutela ci impedisce di fare cultura. Ancora un esempio: se volessi creare un documentario usando spezzoni già esistenti di film, opere teatrali, serie tv eccetera, dovrei chiedere i permessi ai detentori del copyright, dovrei rintracciarli, pagare qualora mi chiedessero i diritti (sempre meno si garantisce il fair use). Il problema sarebbe rintracciare tutti, prolungando così le tempistiche e incrementando i costi: in sostanza, per un comune essere umano sarebbe pressoché impossibile.
Lawrence Lessig, studioso del copyright, avvocato e creatore di Creative Commons, spiega la situazione inerente al copyright con l’allegoria di un’automobile in fiamme: se si lascia che il fuoco si consumi da solo, prima o poi si spegnerà autonomamente; ma se continuiamo ad infierire gettando nuova benzina, l’incendio non si spegnerà mai, ma forse si propagherà. Fuor di metafora, coloro che gettano nuova benzina sul fuoco sono i legislatori che creano nuove leggi per tutelare il copyright, quando invece lasciare che la situazione si autogestisca potrebbe condurre a risultati più democratici. Lessig ritiene che creando nuove leggi a tutela delle major non si fa altro che reprimere la libertà creativa dell’individuo, la libertà di ispirarsi all’opera di un altro e di costruire cultura su quello che un altro ha creato. Egli propone di trovare un equilibrio tra l’eccesso di tutela e la pirateria. Nel 2001 a questo scopo ha creato in Massachusetts un’associazione no-profit, chiamata Creative Commons: la Creative Commons rilascia gratuitamente delle licenze, che possono essere inserite nella propria pagina web attraverso un tag. L’inserimento del tag non estingue il copyright, ma consente agli altri utenti che visitano il nostro blog, pagina, etc, di poter costruire sul materiale che abbiamo prodotto. In sostanza, la licenza Creative Commons consente di far cose che il copyright vieta.

Scanlation e doujinshi: due casi di autoregolamentazione
Esistono dei casi in cui vi è una palese e diffusa violazione del copyright, ma i detentori del suddetto non se ne preoccupano: altresì lo ritengono produttivo e incentivante. Parlo del caso delle doujinshi e delle scanlation, due fenomeni provenienti dal Giappone e in rapido sviluppo in Occidente. Soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, la cultura giapponese è ampiamente diffusa ed amata, così come le sue produzioni: dalle opere letterarie (Murakami Haruki, Banana Yoshimoto, Yukio Mishima...), alla pittura tipica, al cibo, al teatro (il famoso teatro kabuki), all’animazione, per giungere al fenomeno in maggiore ascesa, il fumetto o manga giapponese. Il mercato del manga registra un incasso annuo di cinquecentododici miliardi di yen netti (quattro miliardi di euro circa), e costituisce più di un quarto dell’intero mercato librario giapponese: non solo la carta stampata, ma anche il merchandise (giocattoli, statue, indumenti e ninnoli vari) contribuisce a nutrire l’affetto di numerosi fans, genuinamente affezionati ad autori, case editrici e personaggi.

Scanlation e scanlators
I manga sono di grande tendenza in Occidente, e una grande quantità ne vengono licenziati ogni anno: tuttavia, si tratta per lo più di titoli vecchi di qualche anno o di grande successo in madrepatria. Di conseguenza, le opere più recenti, gli ultimi volumi di serie in corso e alcuni lavori considerati “di nicchia” corrono il rischio di non vedere la luce in Occidente, o quantomeno di giungerci tra molti anni: infatti le case editrici spesso non tengono conto dei gusti del proprio pubblico, acquistando i diritti in base al successo del volume in madrepatria. Il pubblico si trova dunque nella scomoda posizione di chi pur sapendo che un titolo esiste, è interessante e aderisce ai suoi gusti personali, non può accedervi per limiti di lingua o distanza o tempo. Per bypassare questo gap (temporale, linguistico e geografico), alcuni fan hanno fatto di se stessi degli scanlators: gli scanlators -per lo più americani- sono fans che acquistano le riviste o i tankobon originali, li scansionano, traducono e postano su apposite piattaforme, in modo che anche altri utenti possano usufruirne in tempo reale. Ne fanno in pratica delle scanlation (parola macedonia derivante dai due termini scan  e translation). Queste iniziative sono totalmente no-profit, e si basano sulla collaborazione di appassionati per ottenere la diffusione di un genere, di un autore o di un semplice titolo a livello mondiale: il loro finale ultimo è quello di spingere le case editrici occidentali ad acquistarne i diritti. La lingua maggiormente utilizzata è ovviamente l’inglese, che permette ad un pubblico più esteso di poter leggere le scansioni, e quindi di poter apprezzare un autore o una storia.
Gli scanlators -amando il loro hobby- compiono un lavoro quanto più efficiente e preciso possibile: molto spesso lavorano in gruppi in cui ciascuno ha un preciso compito (editing, pulizia, correzione, rilettura, e così via); conoscono due o più lingue (tra cui ovviamente il giapponese e l’inglese) e lavorano nel campo dell’editoria (o comunque ne sono molto attratti e si tengono costantemente aggiornati). Ogni gruppo tende a darsi un nome particolare, identificativo, spesso ispirato dal genere di manga usualmente tradotto: ad esempio, un famoso gruppo di scanlators che si occupa di manga yaoi (storie omoerotiche) si è dato il nome Dangerous pleasure.
Le scans costituiscono nella loro essenza un’ovvia violazione del copyright, nonostante il fatto che su di esse vi sia una sovrastruttura lavorativa sulla quale gli scanlators stessi dichiarano a loro volta il pieno possesso e diritto: chiunque infatti voglia condividere o tradurre in altra lingua il loro materiale deve chiedere il permesso e citare nei credits  il nome del gruppo. Altresì, quando un dato manga viene licenziato negli USA, automaticamente le scans vengono rimosse dal server centrale, e ciascun sito invita gli utenti a cancellare i dati pirata in loro possesso e a comprarne la copia cartacea. Si è dunque stabilito una sorta di accordo implicito tra case editrici e gruppi di scanlators, il quale permette a questo settore del mercato di ottenere una grande visibilità planetaria, e nel contempo di guadagnare dalla “pirateria”. Infatti una peculiarità del mercato fumettistico è la fedeltà della clientela: un appassionato di fumetto, nonostante abbia già letto le scan, acquisterà ciascun titolo che ha apprezzato alimentando così le vendite e spingendo -anche tramite sondaggi online e indagini di mercato- l’editore a puntare su un titolo piuttosto che su un altro. È quello che sempre più di frequente sta accadendo in Italia, soprattutto con le case editrici minori: negli ultimi tempi vediamo infatti un incremento esponenziale di titoli richiesti, per lo più seinen (manga maturi), boy’s love/yaoi o titoli “storici” (Ken il Guerriero, Lady Oscar, Goldrake/Grendizer, Mazinger, Kiss Me Licia/Love me Knight and so on).
Per quanto riguarda editori ed autori giapponesi, presi come sono dalla crisi di mercato -che ahimè investe anche il settore librario- non badano molto a questo fenomeno, e quando lo notano lasciano scorrere, nella certezza che esso funga da pubblicità positiva per la diffusione della cultura nipponica oltreoceano. Gli stessi autori ed autrici giapponesi spesso non si dichiarano contrari alla diffusione delle scan, a patto che una volta disponibili le copie cartacee esse vengano acquistate. Un esempio lampante è quello di un’autrice come Yonezou Nekota, ultimamente di gran “moda” tra le fujoshi (NdA: appassionate di manga yaoi) occidentali, che ha presenziato al Lucca Comics & Games (31 ottobre-3 novembre 2013), la quale riguardo alle scan ha dichiarato:

“Sono contenta che in questo modo le mie opere siano conosciute in varie parti del mondo, ma confido anche nel fatto che una volta pubblicate, i fans acquistino tali opere, anche per sostenere l’autore stesso. Purtroppo in Giappone, molti mangaka non così famosi, hanno dovuto smettere di disegnare per mancanza di fondi proprio a causa delle scan” [1].

Doujinshi (o dojinshi)
Le doujinshi sono fumetti disegnati e sceneggiati dai fan, che utilizzano personaggi e ambientazioni di manga coperti da copyright. Fenomeno nato e sviluppatosi in Giappone, esso non viene tuttavia perseguito dalla legge, e addirittura molte grandi catene giapponesi vendono le doujinshi come normali fumetti sui loro scaffali. Ma per quale motivo la legge non perseguita i violatori del copyright? Come nell’ambito delle scanlation, le doujinshi sembrano implementare il mercato del fumetto, pubblicizzando un autore o un determinato prodotto: in sostanza, le doujinshi fungono da vera e propria pubblicità per gli autori. Altri ritengono invece che questo tipo di violazione non venga perseguita a causa della mancanza di avvocati e di tempo, nonché dell’impossibilità di rintracciare i singoli violatori.

Conclusioni
In conclusione, appare ovvio come la commutazione di interessi induca il mercato ad autoregolamentarsi in fatto di copyright: come nell’allegoria di Lessig l’automobile in fiamme si spegne da sola se lasciata bruciare, così ogni ambito della cultura e dell’informazione telematica può giungere ad un compromesso con gli interessi delle grandi major a patto che non si tuteli eccessivamente il copyright. Solo se la legge prenderà una nuova posizione -non più la difesa dell’interesse del singolo, ma la difesa della collettività, della cultura e della libertà- sarà possibile costruire un futuro che si basi sull’uguaglianza, sulla democrazia e sulla libertà intellettuale.


[SCAN DEL MANGA “INNOCENT” DI SHINICHI SAKAMOTO (ANNUNCIATO DA GP/J-POP PER LA PRIMA META’ DEL 2014)]


[SCAN DELLA COPERTINA DI “DRAP”, RIVISTA GIAPPONESE CHE HA OSPITATO “ELEKTEL DELUSION” DI YONEZOU NEKOTA]




[CREDITS DI DUE DIVERSI GRUPPI DI SCANLATOR: (A) DANGEROUS PLEASURE, CHE HA CURATO “ELEKTEL DELUSION”, (B) YAOI IS LIFE, CHE HA TRADOTTO ELEKTEL GRAFFITI/MOUSOU GRAFFITI. ENTRAMBI I LAVORI APPARTENGONO A YONEZOU NEKOTA]


[ESEMPIO DI PAGINA CREDITS (A) ED ELENCO PARZIALE DEI GRUPPI SCANLATORS DEL SITO BAKA UPTADES (B)]



[MAIN PAGE DI “WOLF CHILDREN - AME E YUKI I BAMBINI LUPO” DI MAMORU HOSODA, SU BAKA UPTADES]


[A CONFRONTO: SCAN DELLA COPERTINA DI ADEKAN, E CORRISPETTIVO EDITATO ITALIANO (2013, MAGIC PRESS EDIZIONI)]


 NOTE
[1]: Dall’intervista della bogger Blacksoil, sul blog “The other side of the Mirror”. http://blacksoil-theothersideofthemirror.blogspot.it/2013/11/lucca-comics-2013-incontro-con-la-nekota.html